Il viaggio di Blastociccio, un viaggio verso la propria casa

Foto: Silvia Sanchini

Se c’è una cosa che il mio lavoro (e la vita) mi hanno insegnato è che non esiste un solo modo di interpretare l’idea di famiglia o genitorialità. Ci sono tante sfumature dell’essere genitore, ma anche di sentirsi figlia o figlio.

Ma ci sono al tempo stesso sentimenti universali.

Il viaggio di Blastociccio” di Paola Russo (ed. Rotas 2019) racconta con delicatezza – anche grazie al dono delle illustrazioni di Clara Esposito – sentimenti comuni: la pazienza nel custodire un sogno e un’attesa, il bisogno di sentirsi chiamati per nome e di sentirsi amati.

Ci sono scelte che possono o meno essere condivise, diversi sentieri da percorrere.

Ma la strada del pinguino Blastociccio è la stessa che ciascuno di noi compie per arrivare a quel luogo in cui potersi sentire a casa. Ci sono diversi punti di partenza e si può arrivare a un bosco oppure a un igloo, ma casa è innanzitutto dove ci sono delle braccia pronte ad accogliere e sorrisi pronti a schiudersi.

“Il viaggio di Blastociccio” è allora una storia ma anche tante storie perché, come spiega l’autrice, “tutte le storie si possono raccontare”.

E questo pinguino ce lo ricorda con attenzione e dolcezza.

Foto: Silvia Sanchini

“Il viaggio di Blastociccio”
di Paola Russo
Illustrazioni di Clara Esposito
Editrice Rotas Barletta 2019
Formato 22×22
44 pagine libri
Consigliato dai 5 anni in su

Mamme, bambini, servizi per migranti e famiglie: cosa si continua a fare

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Continuiamo a parlare di servizi educativi, ai tempi del Coronavirus. Elena Nati è coordinatrice di due aree di intervento della coop. sociale Il Millepiedi: quella dedicata alle famiglie e l’area protezione sociale.

Coordina quindi servizi di accoglienza per mamme con bambini, progetti Sprar per rifugiati, una comunità di pronta accoglienza, Centri per le famiglie e servizi di educativa domiciliare.

Come sono state riorganizzate le vostre attività in questo periodo?

Abbiamo dovuto ripensare i nostri servizi residenziali in tempi brevissimi, e questo ha richiesto davvero un grande sforzo. Abbiamo modificato molte procedure ma soprattutto ci sentiamo in questa fase di voler accompagnare responsabilmente le persone di cui ci occupiamo. Vorremmo essere in qualche modo la voce interiore che le guida a prendere scelte responsabili.

Spesso mamme e ragazzi in difficoltà in questa fase sono spaesati, ricevono informazioni contrastanti, non sempre si rendono conto dei rischi. Il nostro compito è offrire loro riferimenti chiari: sostenerli e responsabilizzarli. Posso dire in generale che tutti stanno facendo un grande lavoro – per il quale ringrazio – e c’è molta collaborazione tra ospiti ed educatori.

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Mi fido di te. Adolescenti tra libertà e controllo

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Per il terzo anno consecutivo il Comune di Rimini organizza attraverso il Centro per le Famiglie un ciclo di appuntamenti dedicato a genitori, insegnanti e educatori di ragazzi pre-adolescenti e adolescenti. L’edizione 2019/2020 si è aperta in ottobre con una serata condotta dal giornalista Federico Taddia, per poi proseguire con un doppio appuntamento il 5 e il 19 novembre alla Scuola Fermi e poi alla Scuola Panzini. Quest’anno si parte dai versi di alcune canzoni: “Mi fido di te”, ritornello di Lorenzo Jovanotti, è il titolo della prima serata. Sottotitolo: “Tra il bisogno di libertà dei ragazzi e il desiderio di controllo dei genitori”.

Un’altra novità riguarda i video realizzati per introdurre le serate: dopo l’esperienza dello scorso anno con le interviste agli adolescenti, quest’anno la parola è stata data agli adulti di riferimento.

Nel primo video sono comparsi due genitori: Roberto Pagliarani e Giovanna Ceccarelli, due educatori: Giorgia Lanciotti e Marco Quieti e la dirigente scolastica Myriam Toccafondo. Senza pretesa di fornire ricette o soluzioni, gli intervistati hanno raccontato la loro esperienza in famiglia, a scuola e nei Gruppi educativi territoriali, nei contesti in cui ogni giorno sono chiamati ad incontrare e accompagnare i più giovani.

Gli stessi giovani al centro delle riflessioni di Tania Presepi (psicologa della coop. sociale Il Millepiedi) e Paola Marconi (psicologa e psicoterapeuta dell’Ausl Romagna), relatrici delle due serate.

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La regola dell’eccezione. Roberto Mercadini racconta l’adolescenza

Si è concluso in modo inedito e suscitando grande entusiasmo il percorso promosso dal Centro per le Famiglie del Comune di Rimini tra novembre 2018 e maggio 2019: “Adolescenti e genitori: raccontare il presente”. Un partecipato percorso dedicato a educatori, insegnanti e genitori di figli adolescenti che ha previsto quattro incontri di approfondimento, replicati in diverse scuole del territorio, più la serata di apertura con Alberto Pellai e la conferenza dedicata al digitale con Elisabetta Zurovac e, infine, lo scorso 10 maggio la conclusione con il monologo teatrale: “La regola dell’eccezione”.

Messo in scena dal “poeta parlante” romagnolo Roberto Mercadini, lo spettacolo è una rivisitazione di un testo che da tempo l’artista porta in scena nelle scuole, in cui ha l’opportunità di incontrare decine di studenti.

Racconta a proposito Mercadini: “Per scrivere questo monologo ho dovuto lavorare su di me e sui miei ricordi. Nel parlare di adolescenza agli adolescenti si corre il rischio di essere percepito come un rompiscatole o come qualcuno di estraneo e distante. Dovevo trovare un modo perché gli adolescenti mi riconoscessero: ho deciso allora di parlare di Roberto Mercadini adolescente. Così in questo spettacolo c’è anche molto di me”.

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Insieme siamo una famiglia. La storia di Mike, Giada e Alessandro

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Ha appena compiuto 22 anni, Mike.

Poche settimane dopo il suo compleanno, esattamente 5 anni fa, arrivava in Italia, a Taranto.

Era partito dalla Nigeria a soli 16 anni. Ad accoglierlo don Francesco e l’associazione “Noi&voi”.
Ci sono diversi volontari che ogni giorno passano dalla struttura di accoglienza in cui Mike trascorre quattro mesi. Ma con due di loro, Alessandro e Giada, si crea un rapporto diverso.

Così racconta Mike: “Con Alessandro e Giada ci siamo conosciuti e ci siamo scelti. Io avevo un grande sogno, poter studiare. Loro volevano darmi questa opportunità. E così dopo alcuni weekend trascorsi insieme e dopo esserci conosciuti meglio, a ottobre 2014 mi hanno proposto di vivere con loro”.

Oggi Mike studia, frequenta un Istituto alberghiero. Durante l’estate o nei fine settimana lavora in un bar e in un ristorante.

“All’inizio era difficile vivere con una famiglia italiana – lo dice chiaramente – soprattutto perché io parlavo solo inglese e Alessandro e Giada non lo parlavano così bene. Anche capire la cultura italiana e integrarmi non era semplice. Loro non conoscevano la mia storia e io non sapevo nulla di loro. Ma quando sei solo al mondo e ti manca tutto, è importante incontrare persone su cui poter contare. Avevo tanto bisogno di sentire delle persone vicino, perché nel frattempo i miei genitori in Africa erano morti”.

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Maria: “Il Natale in comunità, bello e triste al tempo stesso”

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Maria – Foto: Monica Romei

Mi chiamo Maria, ho 24 anni e vivo in provincia di Salerno. Lavoro in una fabbrica come operaia. Sono di origine rumena, arrivata in Italia quando avevo 15 anni. Sono stata una ragazza costretta, purtroppo, a crescere troppo in fretta.

Sono stata accolta in una casa-famiglia, “Casa di Kim”, dall’eta di 15 anni. Quando si sono avvicinati i 18 anni la comunità ha provato a farmi conoscere una famiglia affidataria, ma nessun successo.

Ho tanti ricordi, tristi e belli al tempo stesso, legati al periodo di Natale.

Ho trascorso cinque volte il Natale in comunità, ogni volta è stata diversa dall’altra. Quando si avvicinavano le feste mi sentivo triste, perché ero l’unica della casa-famiglia a non avere una famiglia da cui tornare o una famiglia affidataria oppure di appoggio che mi ospitasse. Mi sentivo anche un peso per i miei educatori, che dovevano organizzarsi per portarmi a casa loro o per lavorare durante le vacanze.

Prima di Natale era abitudine, però, organizzare una cena tutti insieme. C’eravamo noi ragazzi della comunità, gli educatori ma anche gli amici, i volontari, persone importanti come il sindaco. Era un momento bellissimo, in cui facevamo festa.

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Casa Arop: un sogno che diventa realtà

inaugurazione_casa_arop4Una nuova casa che accoglierà fino a 5 famiglie di bambini in terapia nel reparto di Oncoematologia pediatrica dell’Ospedale Infermi di Rimini. Inaugurata sabato 16 giugno, diventerà ufficilmente operativa in autunno. È il sogno di Arop, ormai ad un passo dal diventare realtà.

L’associazione riminese oncoematologia pediatrica opera da 16 anni nella provincia di Rimini per sostenere i bambini affetti da malattie oncoematologiche e le loro famiglie. Il presidente è Roberto Romagnoli, che racconta: “L’associazione Arop è nata dall’impegno di un gruppo di genitori che avevano vissuto l’esperienza del ricovero del proprio figlio. Questo ci ha permesso di sviluppare una sensibilità e un’attenzione particolare nei confronti dei genitori e delle famiglie, perché è un’esperienza che abbiamo vissuto sulla nostra pelle. Quando si parla di oncologia pediatrica si focalizza giustamente l’attenzione su malattia e bambino, ma in realtà è di tutto il nucleo familiare che bisogna prendersi cura”.

Aggiunge: “In questi anni l’associazione ha sempre avuto come priorità il desiderio di aiutare il territorio. Partendo da zero abbiamo iniziato a qualificare la nostra presenza come volontari in Ospedale con alcune piccole azioni: l’organizzazione di feste di compleanno per i bambini ricoverati, un’assistenza di base offerta alle famiglie per alleggerire il loro carico… Negli anni il reparto riminese è cresciuto, può contare su personale medico e infermieristico straordinario. È diventato una vera e propria eccellenza, tanto da divenire a partire dal 2010 centro di riferimento regionale. Sono così aumentati anche i casi presi in carico”.

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Un genitore felice è un genitore efficace

papa-e-figlia-1024x1024Tanti babbi, insieme a qualche mamma, a interrogarsi sui cambiamenti del ruolo paterno nell’ambito della famiglia, in una società in sempre più rapida trasformazione. Se ne è parlato lo scorso 25 gennaio al Centro per le famiglie del Comune di Rimini che ha promosso l’incontro “Anche il papà lo sa! Il ruolo del padre come protagonista nella crescita dei figli”.
“Un titolo provocatorio – ha spiegato Silvia Baldazzi, psicologa del Centro – che vuole richiamare la rinnovata centralità che la figura del padre assume all’interno della famiglia per poi definirne le competenze non solo relativamente al suo saper fare ma anche al suo saper essere”.
Una bella sfida accolta da due professionisti, ma anche giovani papà: Roberto Vignali, pedagogista e Wiliam Zavoli, psicologo e psicoterapeuta. Entrambi impegnati professionalmente nell’ambito della cooperativa sociale “Il Millepiedi” di Rimini, contesto in cui quotidianamente sperimentano e definiscono il loro pensiero pedagogico.
L’appuntamento si colloca nell’ambito del ciclo di incontri a tema: “Dedicato a mamma e papà”, una serie di appuntamenti gratuiti promossi dal Centro per le Famiglie del Comune di Rimini e rivolti a genitori, insegnanti, educatori. Prossimo incontro mercoledì 15 febbraio alle 20.45 sempre in piazzetta dei Servi 1: “Il piacere di stare a scuola! Come le relazioni possono favorire l’apprendimento e la crescita”, a cura di Silvia Baldazzi.

Abbiamo fatto una chiacchierata con entrambi i relatori, sui temi della paternità e delle insidie “moderne” che i papà di oggi sono chiamati ad affrontare. Cominciamo con Roberto Vignali.

Roberto, cosa significa essere padre oggi?

“Essere padre oggi è molto diverso dal passato. Abbiamo tante più risorse a disposizione ma viviamo anche in un mondo più fragile e pieno di incertezze. Mi piace parlare di paternità a partire dal concetto di felicità. Felicità implica essere completamente soddisfatti, ha a che fare con l’idea di pienezza. La felicità è la meta che ognuno di noi persegue ma la società attuale ci offre e propone false felicità, desideri effimeri che creano frustrazioni e bisogno di sempre nuovi stimoli. Mi piacerebbe invece che passasse l’idea di una felicità che sta nella relazione, nel condividere a pieno la propria vita con altri. Questo implica anche accettare le nostre responsabilità che sono stimoli e ricchezze e non limiti e catene, come spesso vengono rappresentate”.

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Vorrei davvero abbracciarlo e dirgli che l’ho perdonato

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Io e i miei fratelli abbiamo dei nomi strani. Marlon, Catherine e Martin. I nostri genitori si sono conosciuti in una specie di comune un po’ hippie della Toscana. Mi hanno detto che è stato un periodo bello della loro vita, di assoluta libertà. Però è stato lì che il mio papà ha cominciato a drogarsi. Io all’inizio non mi rendevo bene conto del problema. Di certo aveva dei forti sbalzi di umore. A volte era tenero e affettuoso, altre violento o scostante. A volte mi guardava negli occhi e sembrava orgoglioso di me. Ogni tanto il pomeriggio costruivamo aquiloni e poi andavamo in riva al mare per farli volare. Certi giorni però il suo sguardo si trasformava. E lui diventava irascibile.

A 12 anni sono finito in ospedale perché mi aveva picchiato più forte del solito ed ero caduto dalle scale battendo la testa. Io non volevo andarci in ospedale, non volevo raccontare a nessuno cos’era successo. Io lo sapevo che non era colpa sua, avevo paura che la mamma o qualcun altro potessero arrabbiarsi con lui, non era stata colpa sua… era colpa della droga, io lo sapevo. E non ero arrabbiato con lui. Da quel momento però le cose sono cambiate in maniera imprevedibile.

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Conta solo chi conta?

svegliatitalia-in-centinaia-in-piazza-a-bari-we-are-the-family-video--1453627764Come accade con ogni manifestazione di piazza che si rispetti, anche dopo #Svegliatitalia e #FamilyDay è cominciato il balletto delle cifre. Mi chiedo: a che pro? La rilevanza numerica conferisce minor o maggiore valore a un’idea? Non entro nel merito politico, anche se un paio di riflessioni voglio farle. Sono convinta che sia il momento per l’Italia, al pari di qualsiasi altro Paese civile, di arrivare ad un riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali, è un gesto di civiltà che non possiamo più rimandare. D’altra parte capisco alcune preoccupazioni del mondo cattolico rispetto al Ddl Cirinnà e condivido che ci siano aspetti della proposta di legge controversi, che meriterebbero una più approfondita riflessione.

Detto questo, torniamo all’ossessione per i numeri. Se da una parte e dall’altra la principale preoccupazione è quella di contarsi e dimostrare di essere una fantomatica maggioranza del Paese rappresentandone gli umori e i desideri, è chiaro che non sono più le idee per le quali stiamo manifestando ad avere un ruolo primario. Tutto appare invece solo ed esclusivamente parte di un gioco di forza e mostra un’assoluta incapacità di incontrarsi, ascoltarsi e dialogare. Non a caso i linguaggi utilizzati sono quelli della delegittimazione reciproca, non della mediazione o del confronto.

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Nel suo decalogo “Per imparare la democrazia” (che invito tutti a rileggere), Gustavo Zagrebelsky sottolineava la coscienza della maggioranza e la coscienza della minoranza quali aspetti irrinunciabili di una vera democrazia: “Non esiste nessuna ragione per sostenere, in generale, che i più vedano meglio, siano più vicini alla verità dei meno”. La diversità va riconosciuta come ricchezza e valorizzata per costruire il bene di tutti.

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