Mascherine eco e solidali: dove trovarle

Dalla pagina Facebook di “Condivisione fra i popoli”

A prescindere da come evolverà la pandemia e la diffusione del Covid-19, abbiamo ormai compreso che le mascherine ci accompagneranno ancora a lungo.

Non si può inoltre negare la preoccupazione per l’impatto ambientale di questi presidi di protezione: esperti e associazioni hanno più volte sottolineato la difficoltà a smaltire le mascherine usa e getta.

E allora armiamoci di pazienza e cerchiamo almeno di procurarci mascherine che possano rispettare i requisiti di rispetto per l’ambiente e avere anche se possibile una finalità benefica.

Ecco alcune opportunità che ho trovato nella mia città, a Rimini, ma anche esplorando il web o attraverso le vostre sempre preziose segnalazioni.

Uniscono Africa e Italia le mascherine di “Condivisione fra i popoli”. Con le stoffe acquistate da Stefano Vitali nei suoi viaggi e il lavoro degli artigiani della bottega “Manifattura” di Rimini sono state realizzate queste mascherine. Parte del ricavato dalla loro vendita sarà destinato ai 13 centri nutrizionali del Progetto Rainbow in Zambia, che ogni anno assistono oltre 1.000 bambini malnutriti. Le mascherine sono 100% tessuto wax e hanno un’apertura tasca per l’inserimento del filtro o capsula tnt. Aumentano quindi il livello di sicurezza per chi le indossa e riducono gli sprechi, visto che sono riciclabili. Possono inoltre essere abbinate a bellissime fasce bicolore per i capelli. Per informazioni e ordini potete scrivere alla mail segreteria.condivisione@apg23.org o contattarci direttamente sulle pagine Facebook e Instagram di Condivisione fra i popoli.

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“Il Bagaglio”: il fenomeno dei minori non accompagnati. Intervista a Luca Attanasio

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Luca Attanasio – Foto: Alda Lollobrigida

Di nuovo in libreria da giovedì 6 settembre il libro “Il Bagaglio. Storie e numeri del fenomeno dei migranti minori non accompagnati” (Albeggi Edizioni). Il libro è andato in stampa in una nuova versione aggiornata e integrata, con la prestigiosa prefazione di Roberto Saviano. In questa intervista la parola all’autore, il giornalista Luca Attanasio (intervista realizzata per l’associazione Agevolando).

In un’epoca in cui il tema migranti è trattato spesso in modo strumentale o impreciso, qual è per te il valore e il senso di un libro come “Il Bagaglio”?

Purtroppo in questo momento storico il tema dei migranti è narrato poco e male. Sono un bacino incredibile di consenso, già dall’epoca del governo Gentiloni con i provvedimenti di Minniti. Salvini ha poi costruito sulla pelle dei migranti il suo consenso. Se domani cessasse per magia l’immigrazione, Salvini crollerebbe. Su questi temi c’è anche una profonda ignoranza: pochi conoscono davvero l’Africa e quello che accade nei paesi di provenienza dei migranti. Con “Il Bagaglio” ho fatto un lavoro più sul piano umano che sociologico. È stato un grande privilegio poter incontrare questa umanità da una parte dolente, dall’altro ricca di fascino, vita, positività. Ho pensato fosse giusto rendere giustizia a questi ragazzi. Restituire loro quanto in parte hanno donato a noi e al nostro mondo.
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Roberto Mercadini: l’integrazione? Un’Odissea

Al centro della scena c’è Roberto Mercadini, un narratore pieno di carisma ed energia, un “poeta parlante” come ama definirsi. Lo spettacolo è un monologo (andato in scena lo scorso 28 dicembre e 4 gennaio al Teatro Il Lavatoio di Santarcangelo) ma il palco è idealmente abitato da numerosi personaggi e come un grande atlante ci fa viaggiare attraverso il mondo.

Odissee anonime – Monologo sull’integrazione porta in scena le storie vere di Senza Nome e Nessuno, raccontate da Roberto Mercadini. I due personaggi nascono dall’incontro con gli operatori e i giovani e gli adulti accolti nel progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) dell’Unione Valmarecchia. 19 posti tra Santarcangelo e Verucchio gestiti dalle cooperative sociali Il Millepiedi e Cento Fiori.

La prima parte dello spettacolo è dedicata al racconto di due viaggi. Quello di Senza Nome inizia in Afghanistan. Prosegue con modalità rocambolesche attraverso il Pakistan, la Turchia e la Grecia. Senza Nome a 8 anni già lavora 15 ore al giorno, poi fa il muratore e vive nelle case che sta costruendo, ma lavora anche come guida turistica a cavallo, dorme in fabbriche dismesse. Arriva infine in Italia, nascosto nel vano di un camion.

Nessuno ha una bella famiglia in Costa d’Avorio ma la guerra civile la distrugge dopo le elezioni del 2011 e il declino di Gbagbo. Nessuno è solo e decide di scappare in Mali, poi in Burkina Faso e in Niger. Lo illudono che in Libia possa trovare fortuna, ma incontra solo gli Asma boys, bande armate e criminali. Un giorno è obbligato da chi lo sfrutta a salire su un gommone. Non sa neppure dove è diretto…

Roberto Mercadini, come è stato per lei l’incontro con questo mondo?

È stato molto forte dal punto di vista umano ed emotivo. Sembrano storie di altri tempi o di romanzi picareschi, invece sono drammaticamente vere. Ho sempre pensato ai viaggi sui barconi attraverso il Mediterraneo come il momento più difficile, in realtà dietro ai percorsi migratori c’è molto altro e spesso attraversare il mare è solo l’ultima tappa dei viaggi epici e drammatici che questi ragazzi intraprendono. Sono Odissee anonime, che meritano però di essere conosciute e ascoltate, per capire.

Nella seconda parte dello spettacolo si concentra sull’arrivo dei due giovani in Italia. Lei parla di “effetto Circe”: di cosa si tratta?

Non è vero, come erroneamente pensiamo, che Circe nell’Odissea trasforma gli uomini in maiali: in realtà il suo potere è quello di mutare gli uomini a seconda della loro natura interiore, facendo emergere la bestialità che hanno dentro. La prima difficoltà con cui i migranti si devono confrontare in Italia sono le opinioni della gente su di loro: nel web l’effetto Circe sembra trasformare le persone a volte in leoni, oppure in avvoltoi, o anche in iene ridens. Io mi sento un po’come una cernia: con gli occhi spalancati mentre leggo la cattiveria e la spietatezza di cui siamo capaci. Nello spettacolo cerco di sfatare anche alcuni luoghi comuni: è davvero un’invasione? Vivono in alberghi a 5 stelle? Le nostre tasse servono per pagare la loro accoglienza? Ci portano via lavoro? O il classico: aiutiamoli a casa loro. Ovviamente la realtà è molto più complessa ed è importante informarsi per non cadere vittime di questi pregiudizi e inutili semplificazioni.

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Djibril, Oumar, Moussa e Mamadou: la Giornata del Rifugiato a Rimini

20160623_191502.jpgOre storiche per l’Europa, con il voto del Referendum Brexit in Gran Bretagna. E mentre il 51,9% dei cittadini britannici scriveva “Leave” sulla propria scheda referendaria, in tutto il mondo si svolgevano eventi e iniziative in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato.

Anche a Rimini i progetti SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) del Comune di Rimini (“Rimini Porto sicuro” e “Karibu Rimini”) in collaborazione con tutti i soggetti che gestiscono i centri di accoglienza e le associazioni che lavorano per l’integrazione hanno deciso di promuovere un evento in Piazza Cavour giovedì 23 giugno.

A partire dalle ore 18.00 la piazza comincia a popolarsi: un semplice biliardino diventa punto di ritrovo e aggregazione. Su morbidi cuscini c’è chi intrattiene i più piccoli colorando e raccontando favole dal mondo. Le cooperative espongono oggetti artigianali realizzati assieme ai migranti, c’è chi offre te e dolcetti, chi si propone di scrivere il tuo nome in bengalese o urdu.

Secondo i più recenti dati dell’UNHCR, l’Agenzia ONU per i rifugiati, 1 persona ogni 113 nel mondo è un richiedente asilo, uno sfollato interno o un rifugiato. Nel 2015 per la prima volta è stata superata la soglia delle 60 milioni di persone costrette a fuggire (circa quante l’intera popolazione della Francia), di queste il 51% sono bambini (Global Trends 2015, https://s3.amazonaws.com/unhcrsharedmedia/2016/2016-06-20-global-trends/2016-06-14-Global-Trends-2015.pdf).

Ma torniamo a Rimini. Commenta Patrizia Fiori, della Direzione Servizi Educativi e di Protezione Sociale del Comune di Rimini:“L’Amministrazione comunale è molto soddisfatta dell’evento: volevamo che fosse un momento informale e di festa, lasciando soprattutto spazio ai protagonisti di una migrazione epocale che suscita emozioni contrastanti ed opposte”.

È felice di esserci Djibril, 24 anni, che viene dalla Guinea e dopo essere stato ospite di “Casa Solferino”, un progetto della Croce Rossa riminese, ne è diventato valido collaboratore: “Questa festa è un modo per dimostrare che possiamo stare tutti insieme, senza confini e divisioni. Siamo tutti uguali e non dovrebbero esserci discriminazioni. Io in Italia mi sono sentito accolto e aiutato, per questo oggi sono in piazza anche per dire il mio grazie”.

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(Ph. Emiliano Violante)

Stefano Vitali, un’intervista sociale

10629560_10203971169873863_7164263706057222602_nIn questo momento considero la mia esperienza politica un capitolo chiuso, non perché non mi interessi ma perché non ho trovato un progetto valido da portare avanti. In futuro si vedrà…Il mio percorso politico è sempre stato fatto di occasioni, mai cercate. Non voglio “mangiare” con la politica, ma solo spendermi per dei progetti che ritengo interessanti per il bene comune”.

Comincia così la nostra chiacchierata con Stefano Vitali: per quindici anni amministratore della cosa pubblica prima come Assessore ai servizi sociali del Comune di Rimini e poi come Presidente della Provincia e oggi tornato ad impegnarsi direttamente nella “sua” comunità, la Papa Giovanni XXIII. In particolare il suo impegno è dedicato alla ONG “Condivisione fra i popoli”. È reduce da un due viaggi di ricognizione in Africa: in Tanzania, Zambia e Burundi, presto partirà per il Bangladesh e il Nepal, poi sarà la volta dell’America Latina. Un bel cambiamento di vita, affrontato con molta serenità ed entusiasmo, che ci facciamo raccontare proprio da lui.

Di cosa si occupa nello specifico all’interno della Comunità Papa Giovanni “Condivisione fra i popoli”?

Condivisione è una ONG che segue tutti i progetti che non riguardano le case-famiglia (altra colonna portante della comunità) e in particolare tutte le realtà nate dall’iniziativa dei missionari della Comunità Papa Giovanni XXIII, responsabile di Condivisione è Elisabetta Garuti. Seguiamo i progetti anche da un punto di vista gestionale ed economico cercando di mantenere vivi i contatti con tutte le zone di missione. Non solo: il nostro è anche un lavoro culturale, legato alla rimozione delle cause vere della povertà e sfruttamento e volto a riequilibrare l’opinione pubblica, facendo conoscere direttamente queste realtà. Don Oreste Benzi diceva che non basta mettere la nostra spalla sotto la Croce del fratello, ma dobbiamo contribuire anche a fare in modo che chi ha messo quelle croci non lo possa più fare. Se ci sono 1.300.000 persone in Libia pronte a partire per l’Europa, noi dobbiamo far capire qual è la realtà da cui sfuggono e quali sono le necessità e i problemi veri su cui è necessario intervenire per evitare questi viaggi della disperazione.

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La storia di Mohammed, il mio augurio di buona Pasqua

Una storia di dolore e resurrezione. E’la storia che mi piace raccontarvi e condividere con voi per augurarvi davvero una gioiosissima e Santa Pasqua!

Il fondo per il lavoro…al lavoro. La storia di Mohammed.

immigrati_lavoro.jpgImmaginate di trovarvi in un paese che non è il vostro, senza conoscere la lingua, i vostri cari lontani. È la storia di tanti ragazzi giovanissimi che, soli, raggiungono l’Italia con un unico grande obiettivo: trovare lavoro e aiutare la propria famiglia. È la storia di Mohammed (nome di fantasia, ndr), che quando è arrivato a Rimini dopo un viaggio rocambolesco era ancora minorenne e aveva una storia dolorosissima, ma aveva anche le idee molto chiare sul da farsi. Il suo percorso ha avuto molti intoppi, molte battute d’arresto.
Non trovare lavoro, essere rifiutato da alcune aziende, il pensiero della propria famiglia in Africa sempre più in difficoltà, ha dilaniato Mohammed per settimane.
Pensieri che si rincorrevano incessanti, paura di aver sbagliato tutto.
Ma anche una certezza che regalava qualche speranza: aver trovato persone che si prendevano cura di lui, che gli volevano bene, di cui poteva fidarsi.
È stato davvero, il caso di dirlo, un lavoro di rete ben fatto.

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Sara Barraco, una vita per il volontariato

Perché si realizzino progetti grandiosi, quasi sempre è necessaria la presenza dietro le quinte di persone che lavorano silenziosamente e quotidianamente per attuarli. Sara Barraco è una di queste. Settantanove anni e una vitalità straordinaria, non ama apparire né i giri di parole ma ha tante cose da raccontare. Nella sua vita Sara Barraco è stata davvero una pioniera e ha portato avanti molti progetti nel campo del sociale e del volontariato. Da tredici anni collabora con la Caritas Diocesana, in qualità di responsabile del progetto “Operazione cuore”. Ma basta mettersi in ascolto per accorgersi delle tante storie di cui è testimone…

Innanzitutto, come è arrivata a Rimini dalla Sicilia?
Sono nata in provincia di Trapani, ho ricordo bellissimi della mia terra. Ero delegata delle Beniamine nell’Azione Cattolica ma avevo nel cuore anche un altro grande sogno: partire per l’Africa come missionaria. In seguito posso dire che, anche se non ho realizzato questo sogno, è stata l’Africa a trovarmi e a venire da me! Tornando alla mia giovinezza, a 21 anni circa ho capito che volevo fare della mia vita un dono totale agli altri. E così sono entrata in un istituto scolare e mi sono trasferita a Verona. A Rimini sono arrivata qualche anno dopo per gestire una “Casa di riabilitazione”.

Una “Casa di riabilitazione”, di cosa si trattava esattamente?
Pensate al contesto storico in cui quella casa aveva preso vita. Era il 1963 ed era in vigore da pochi anni la Legge Merlin. La casa aveva il compito di accogliere proprio ex prostitute o ragazze con problematiche sociali e familiari. In quel periodo nella casa vivevano circa 18/19 ragazze. È stato un periodo bellissimo per me perché ho creduto veramente tanto in questo progetto e in quelle ragazze. Giravo per Rimini come una trottola per trovare lavoro per loro e aziende che si assumessero il rischio di assumerle, garantivo io per loro. Mi ricordo in particolare la sensibilità di un imprenditore, Vittorio Taddei, che ha aiutato tante di queste ragazze a realizzarsi.

E in seguito?
In seguito cominciò ad emergere anche il problema della tossicodipendenza in modo sempre più dirompente. Così mi venne chiesto di collaborare con Don Oreste Benzi a un progetto per tossicodipendenti al Centro “San Facondino” e in una casa-famiglia, esperienze in cui ho conosciuto anche l’Associazione Papa Giovanni XXIII e in particolare Giorgio Pollastri e Don Nevio Faitanini. Successivamente sono stata sedici anni a Cesena dove ho lavorato in una struttura di accoglienza per ragazzi e adulti disabili. Insomma, non mi sono mai fatta mancare niente…

Poi è arrivata la Caritas…
Quando sono tornata a Rimini, ho cominciato la mia collaborazione con la Caritas diocesana. Non sapevo niente dell’Operazione Cuore, è stato Don Luigi Ricci a suggerirmi di conoscere Marilena Pesaresi e così ho scoperto questa realtà che oggi è davvero la mia vita. In questi anni abbiamo accolto a Rimini più di 200 bambini provenienti dall’Africa e che necessitavano di cure ospedaliere, in particolare cardiologiche. Questi bambini, che spesso sono piccolissimi e quindi arrivano insieme alle loro mamme, vengono accolti dalle famiglie riminesi. Sono circa una quarantina le famiglie attualmente coinvolte in questo progetto.

Il suo lavoro come responsabile di “Operazione cuore” nello specifico in cosa consiste?
L’Operazione Cuore si prende cura di questi bambini e delle loro mamme a trecentosessanta gradi: dall’arrivo in aeroporto alla partenza, dagli aspetti sanitari fino alle pratiche burocratiche necessarie per i permessi di soggiorno. Io sono il loro tramite con la realtà italiana, in particolare per tutto ciò che concerne i rapporti con i medici e il personale ospedaliero. E poi mi prendo cura delle famiglie riminesi che accolgono i bimbi, visitandole, accompagnandole e sostenendole. Mi riempie di stupore, ogni volta, assistere alla trasformazione dei bimbi che accogliamo. Arrivano in Italia che sembrano piccoli coniglietti impauriti e ritornano nel loro paese non solo, spesso, guariti ma completamente trasformati e più forti. Questo per me è il miracolo più grande. E sono orgogliosa di sentirmi un po’come una zia adottiva per tutti questi bimbi.

Dove ha trovato in questi anni e dove trova tuttora la forza per realizzare progetti così importanti?
Innanzitutto nel mio rapporto con Dio. Da quando ho fatto la scelta di consacrarmi non ho più posseduto nulla, eppure il Signore nella mia vita non mi ha mai fatto mancare niente. E poi la mia forza sono le persone che incontro. Non mi piace parlare di poveri, ma piuttosto di persone e dell’esigenza, come ci ricorda quasi quotidianamente anche Papa Francesco, di fare in modo che ciascuno possa ritrovare la propria dignità e piena umanità. Alla fine di tutto è questa la cosa più importante.

Silvia Sanchini

Operazione Cuore cerca famiglie per accoglienza

“Operazione cuore” cura i rapporti con la missione presso l’Ospedale Luisa Guidotti di Mutoko nello Zimbabwe, dove dal 1963 opera la dottoressa riminese Marilena Pesaresi. Grazie a questo progetto si offre la possibilità a bambini e a ragazzi africani, affetti da gravi cardiopatie, di giungere in Italia per essere sottoposti a interventi cardiochirurgici presso l’ospedale Sant’Orsola di Bologna.
A metà marzo arriveranno 4 bambini e siamo alla ricerca di famiglie disponibili ad accoglierli, insieme alle loro mamme, per il periodo pre e post intervento al cuore. Si tratta di una femminuccia di 2 anni, un maschietto di 9 anni, un altro bimbo di 10 anni e uno un po’ più grandicello di 13 anni.
È necessario reperire fondi per gli esami clinici da fare in Africa, per il viaggio, per l’assistenza e i medicinali.

Per informazioni e offerte:
CARITAS DIOCESANA: Via Madonna della Scala, 7
Rimini – Tel.0541.26040 Fax 0541.24826.
Chiedere di Sara.

Sito internet: www.caritas.rimini.it
E-mail: caritas@caritas.rimini.it

Il sogno di Samir, Emmanuel, Aminul

anci2.2012A proposito di diritti dei mionori (ieri, 20 Novembre, si celebrava proprio la Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza), ho avuto l’opportunità di scrivere per il Settimanale della Diocesi di Rimini, Il Ponte, un articolo dedicato al tema dei “minori stranieri non accompagnati”:

Il sogno di Samir, Emmanuel, Aminul

C’è Emmanuel, che ha lasciato il proprio amato paese – l’Africa – per sfuggire a un conflitto etnico e civile di cui nessuno parla. Ha 16 anni e sogna di fare il cuoco oppure, come tanti suoi coetanei, il calciatore. E poi c’è Aminul, che viene dal Bangladesh, e ha un papà gravemente malato che però non può permettersi le cure e quindi desidera soltanto trovare un lavoro, e in fretta, per poterlo aiutare. E Abdul, che a soli 17 anni ha lasciato un bimbo in Senegal, di cui sente una tremenda nostalgia ma al quale vorrebbe offrire un futuro migliore qui in Italia. Ma ci sono anche le storie di Rino e Samir, rispettivamente albanese e tunisino, che dopo un’accoglienza in comunità e un percorso di formazione professionale concluso positivamente hanno trovato un buon lavoro qui a Rimini e hanno scelto di andare a vivere insieme.
I nomi qui riportati sono fittizi ma le storie raccontate sono straordinariamente reali.  Continua a leggere

Mare, riportami l’amore della mia anima…

Oggi non c’è spazio per le parole. Oggi è il giorno del silenzio, del dolore, della preghiera e – come ha detto Papa Francesco – della vergogna.

E siccome parole giuste non esistono (o almeno io non le trovo) uso le parole che ho trovato nello straordinario blog Fortress Europe. Sono le parole di Tesfay Mehari, un famoso cantante eritreo, che dedica questo pezzo alla donna che ha perso nei mari d’Italia.

“Mare, dentro di te sta il mio amore.
Hai preso la sua anima e il suo cuore.
Mare, riportala a riva, fammi parlare di nuovo con lei.
Cercala ovunque, trovala, fallo per me.
Mare riportami l’amore della mia anima
Insieme ai suoi compagni pellegrini di questo destino.
Creature del mare, siete voi gli unici testimoni di questa storia
E allora ditemi: quali sono state le sue ultime parole prima di partire
Mare!
Non sei tu il mare? E allora rispondimi!”

Qui il video della canzone: https://www.youtube.com/watch?v=p3wXv0oQZlk

E qui le parole di qualcuno che in questi giorni è riuscito a esprimere al meglio lo sgomento e la rabbia per quanto accade:

“Lampedusa, i veri drammi e il teatrino della politica” di Marco Iasevoli nel portale dell’Azione Cattolica

“Il cimitero Lampedusa e la fiera delle banalità” dal blog “Buongiorno Africa”

Tu da che parte stai?

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Abdullah ha 18 anni e viene dal Senegal. L’ho incontrato qualche giorno fa, per caso, sull’autobus. Indossava gli abiti tradizionali del suo paese, con i quali da un po’di tempo non ero più abituata a vederlo visto che a scuola optava più semplicemente per un paio di jeans e una maglietta. Abdullah è arrivato in Italia, come molti suoi coetanei e connazionali, un paio di anni fa, lasciando in Senegal tutta la sua famiglia. Ha frequentato la terza media e poi un corso di formazione professionale, ha fatto alcuni lavoretti come gommista e magazziniere. Ma in Italia il lavoro non si trova così facilmente, figuriamoci se sei straniero, parli poco l’italiano, non hai un titolo di studio. E allora, spesso, scegli la strada apparentemente più semplice. Quest’estate Abdullah ha deciso di vendere merce sulla spiaggia. Braccialetti, collane, orecchini…che provengono dall’Africa. Niente merce contraffatta, mi dice. Gli chiedo perchè lo fa, gli dico che mi dispiace. E lui mi dice che gli uomini nel suo paese devono lavorare, devono mantenere la famiglia. In Senegal ha 11 fratelli e sua madre, deve assolutamente mandare loro dei soldi. Altrimenti cosa è venuto a fare in Italia? Perchè rischiare la vita in un viaggio se poi da questo non si trae alcuna opportunità o miglioramento? 

Mi sono sentita un po’ in colpa parlando con lui. Ho pensato a tutte le volte in cui, quest’Estate, mi ero unita alle chiacchiere da bar e al dibattito pubblico così acceso nella nostra città e fermamente schierato contro gli “abusivi” (termine già di per sè chiaramente dispregiativo). Abusivi che portano via il lavoro, che sono arroganti, aggressivi, maleducati, che rovinano il lungomare della nostra città.

Non voglio essere fraintesa. L’abusivismo è un fenomeno  serio, da deplorare, che davvero crea concorrenza sleale e alimenta la criminalità. Non ho soluzioni al problema, nè voglio darne una visione semplicistica o ingenua. Non sto elogiando chi sceglie questa strada, anzi, ma non posso fare a meno di pensare anche a chi o cosa sta dietro a questo fenomeno. Ce lo ha ricordato, di recente, anche il Presidente della Provincia di Rimini Stefano Vitali in una nota: “Se l’abusivismo in spiaggia, protagonista dell’estate 2013, è un complesso e grave fenomeno – di concorrenza commerciale indebita, di ordine pubblico, di sfruttamento, di penetrazione della criminalità organizzata – che si alimenta ogni volta che spirano forti i venti delle ‘opposte ideologie’, è pur vero che sbaglieremmo bersaglio e strategia se pensassimo che il problema provenga esclusivamente da fuori (extra, appunto). E’ la scoperta dell’acqua calda, ma brucia eccome quando continua a cadere sulla pelle: c’è un pezzo della nostra comunità che, in nome di un calcolo economico anche figlio della pratica della rendita, dà il suo (mensile) contributo a complicare un problema già di per sé complicato”. Dietro al fenomeno del commercio abusivo vi è infatti una rete di illegalità (affitti in nero, sfruttamento…) che ci riguarda eccome e che, quasi sempre, è nelle mani di tanti italiani e riminesi benpensanti che magari storcono il naso davanti all’ennesimo “vu cumprà” che propone loro di acquistare un pareo in spiaggia.

E poi ci sono gli occhi di Abdullah. A 18 anni penso che ogni giovane, da qualsiasi parte del mondo provenga, dovrebbe avere il diritto di scegliere. Dovrebbe essergli garantita un’istruzione, l’opportunità di lavorare, ma anche di vedere gli amici, di innamorarsi, di sognare. Non dovrebbe dormire su una brandina in un appartamento che divide che non si sa quanti connazionali. Non dovrebbe passare le giornate in spiaggia, sotto il sole, spesso a farsi maltrattare. Non dovrebbe preoccuparsi di mandare soldi alla mamma e ai fratelli lontani. Questa è invece la condizione che molti ragazzi vivono, anche nella nostra città, spesso nella totale indifferenza di tutti o, peggio, con un dito puntato contro. E spesso, lo ammetto, quel dito è stato anche mio.

Ma gli occhi e le parole di Abdullah l’altro giorno mi hanno restituito un po’di umanità. E mi hanno fatto venire in mente una canzone di Francesco De Gregori, che dice: “Tu da che parte stai? Stai dalla parte di chi ruba nei supermercati…o di chi ha costruiti rubando?”.

A noi il compito di scegliere, non solo nelle parole ma anche con i fatti, da che parte stare.

Foto: http://www.informazione.tv

Silvia Sanchini