Da settimane non riesco a toglierti dalla mia mente, piccola Diana.
E so che è il giorno più inopportuno questo per parlare di te, ma è anche il giorno più giusto.
Perché voglio scriverlo a inchiostro indelebile: non tutte le donne sono pronte ad essere madri.
Non tutte le donne vogliono essere madri.
Non tutte le donne possiedono quel codice innato di affettività, cura e competenza che nelle nostre romantiche narrazioni amiamo celebrare.
No, non sono tutte belle le mamme del mondo.
Ci sono madri con problemi di dipendenza, di salute mentale, semplicemente in difficoltà.
Ma dove sono gli strenui difensori della famiglia tradizionale, voi che oggi inneggiate alle mamme con fiori e cioccolatini, e che con violenza ci ribadite che dobbiamo fare figli altrimenti, signora mia, dove andremo a finire? Dove siete quando le piccole come Diana vengono abbandonate? Quando le madri come Alessia abdicano al loro ruolo? Oltre a crocifiggere questa madre sciagurata e già condannata dalla vita in che modo ci siamo occupati anche di lei?
Continuo a chiedervi e a chiedermi.
Dove eravate quando i servizi sociali venivano smantellati e gli assistenti sociali caricati di un numero insostenibile di situazioni da accompagnare? Quando le case famiglia e le comunità sono state sistematicamente attaccate? Quando le madri dei bambini e dei ragazzi migranti erano obbligate a mandare i loro figli a morire in Libia o su una nave nel Mediterraneo sperando di poterli salvare?
Quando gli educatori e le educatrici venivano sottopagati e ignorate le loro voci?
Quando le madri di ragazzi e ragazze con disabilità sono state lasciate completamente sole durante la pandemia? Quando le famiglie affidatarie o adottive sono strangolate dalla burocrazia?
Una madre è innanzitutto una persona, a volte poco più che adolescente, altre volte sola o comunque con la sua storia e le sua fragilità.
Tutta la comunità è chiamata ad essere madre.
Per questo mi piace l’idea, sicuramente provocatoria, di famiglia queer. Perché allarga lo sguardo, rimescola i ruoli e quindi le possibilità. Io che madre non lo sono non voglio dirmi la frase consolatoria che si può essere madri in tanti modi, che esistono equivalenti modi per essere feconde e generative. Mi tengo la mia ferita. Ma tengo stretta a me anche la responsabilità. Di essere sorella persino di donne poco desiderabili come Alessia. E di essere in qualche modo chiamata ad essere madre per tutte le creature come Diana, a cui la vita ha negato una madre amorevole ma che pure tutti noi abbiamo rinunciato a proteggere.