Tutte le città meritano di avere voce

“Vuoi restare a Roma o tornare a Rimini?”.

Quando mi ripetono questa domanda, le persone dimenticano che esiste a volte uno scarto insormontabile tra desiderio e realtà.

Ci sono scelte che prendiamo per assecondare sogni e volontà. Ma ci sono decisioni che, invece, richiedono di essere assunte in base a spietati criteri di sopravvivenza.
Le prime, nella mia vita, sono state poche.
Molto più spesso sono stata condizionata da contingenze di natura economica, personale, o da motivi di salute.
E la favola del “se vuoi, puoi” ha smesso di incantarmi molti anni fa.

Non so dove mi condurranno la vita o le necessità.

Ma posso dire come Roma e Rimini – due poli intorno a cui da anni ruota la mia esistenza – rappresentino molteplici sfide e variabili mondi.

Roma è la sorella maggiore che, a volte, mi convoca.
Rimini è madre e matrigna, porto sicuro ma anche trappola.

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#sguardi. Intervista a Eraldo Affinati

Sala Manzoni il 7 febbraio – Foto: Silvia Sanchini

Un’umanità tumultuosa. È questo movimento esistenziale, fatto di errori e tentativi, di sguardi e racconti, di relazioni spesso difficili ad essere arrivato diritto come un fuso a mente, occhi e cuore di chi ascoltava le parole e l’esperienza di Eraldo Affinati.

Figura educativa di rilievo per il suo impegno come insegnante e per l’invenzione – insieme alla moglie Anna Luce Lenzi – delle Scuole Penny Wirton, per l’insegnamento gratuito della lingua italiana ai migranti. Ma anche pluri-premiato scrittore, con una ricca produzione letteraria iniziata nel 1998 con Veglia d’armi. L’uomo di Tolstoj, fino alla recente autobiografia letteraria Delfini, vessilli, cannonate.

Letteratura e insegnamento: due professioni mai vissute in scissione ma come complementari e che attingono profondamente anche alla sua storia personale.

Nella sua biografia due genitori infatti, entrambi orfani, ai quali le parole erano spesse mancate. Nasce così allora per Affinati l’urgenza di restituire voce e parola, come atto di giustizia nei confronti di tutti quei ragazzi che come i suoi genitori e in parte come lui avevano vissuto esperienze difficili.

Professore, nella serata del 7 febbraio a Rimini si è parlato di #sguardi. Qual è lo sguardo da avere in una relazione educativa?

Mi viene subito in mente l’immagine del giovane Nazareno che per la prima volta percorrendo la strada da Cafarnao al Lago di Tiberiade guarda negli occhi i pescatori sulla riva. Il suo non è uno sguardo retributivo o strumentale, non desidera niente in cambio. È uno sguardo a fondo perduto, ed è lo stesso sguardo che anche noi dovremmo assumere in una relazione educativa. I rapporti umani non dovrebbero essere definiti da ciò che possiamo raccogliere o guadagnare o legarsi a un risultato, ma dovrebbero semplicemente nascere da una fede profonda nell’azione che stiamo svolgendo. Oggi viviamo in una società in cui si contano i like ai post, i riscontri, i risultati numerici. Anche a scuola prevale l’attenzione su voti e programma. Dobbiamo liberarci da questi schemi e andare controcorrente. L’educatore e l’insegnante non dovrebbero cercare consenso o pensare al proprio vantaggio economico e spirituale. Nessuna visione monoculare è giusta ma ciò che conta è avere uno sguardo che prima di giudicare si chiede: di cosa hai bisogno?

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#Legami. Intervista a Johnny Dotti

Don Marco Casadei, Sabrina Lodovichetti, Johnny Dotti, Christian Magrini (Rimini, 13-12-23). Foto: Silvia Sanchini

Istrionico, ironico, generoso. Con il suo spiccato accento bergamasco e la sua intensa esperienza umana e professionale, Johnny Dotti è stato il protagonista della terza serata, lo scorso 13 dicembre, organizzata in questo anno accademico dal gruppo Pardēs dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A.Marvelli” delle Diocesi di Rimini e di San Marino-Montefeltro.

Pedagogista, docente universitario e imprenditore sociale, è anche autore di diversi libri tra cui “Educare è roba seria”, “La vita dentro la morte” e un recente volume dedicato alla figura di San Giuseppe: “Giuseppe siamo noi”. Non solo: è sposato con Monica e ha quattro figli. Vive da oltre trent’anni un’esperienza di vita comunitaria insieme ad altre famiglie.

Insomma, davvero la biografia più adatta per parlare al pubblico presente di #legami.

Professore, perché è importante oggi parlare di legami? 

Nel 2023 può sembrare un paradosso, ma in realtà non è affatto così scontato. La recente vicenda pandemica ci ha fatto sentire ancora più forte la nostalgia del legame. È apparso in modo evidente che l’uomo è legame. Se ci pensate in mezzo alla pancia abbiamo l’ombelico: è il segno evidente che veniamo da qualcun altro, che siamo legati agli altri. La ferita è segno di relazione. In questi anni, invece, abbiamo sempre più evidenziato il nostro essere individui. Noi abbiamo una nostra unicità, è vero, ma non siamo individui, siamo persone.

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#Limiti. Intervista a Elvezio Galanti

Elvezio Galanti. Foto dal web

Danni per oltre quattro miliardi, otto vittime, centinaia di cittadini sfollati. È solo l’ultimo, drammatico, bilancio della tragedia che ha colpito la Regione Toscana nelle scorse settimane. Ed è recente la memoria dell’alluvione che a maggio ha così duramente provato la nostra terra, l’Emilia-Romagna, con ingenti problemi nella ricostruzione che si protraggono sino ad oggi. Sono solo due dei recenti disastri ambientali che ci interrogano come cittadini e come credenti e ci impongono una riflessione seria sui #limiti che esistono nel rapporto tra uomo e ambiente.

Proprio di questo si è parlato nella serata dell’8 novembre promossa dall’Istituto superiore di scienze religiose Alberto Marvelli della Diocesi di Rimini e San Marino-Montefeltro.

Ospite dell’evento il geologo Elvezio Galanti, già direttore di vari uffici del Dipartimento nazionale della protezione civile. Gli abbiamo rivolto alcune domande.

Professo Galanti, siamo davvero consapevoli dei limiti nel rapporto uomo-natura o continuiamo ad ignorarli?

È una domanda importantissima: territorio e cittadino sono fortemente connessi, tutti gli eventi naturali sono ciclici e tornano nei luoghi dove sono avvenuti, la natura è inoltre caratterizzata da forte instabilità. Dobbiamo educarci ad essere consapevoli di questi elementi di ciclicità e instabilità, imparando a conviverci, rendendo il rischio accettabile. Oggi si parla tantissimo di cambiamento climatico. Parliamo di “fiumi killer” ma non parliamo mai di come sia cambiato l’uso del territorio, dell’intensità del fenomeno dell’urbanizzazione che ha completamente modificato il nostro paesaggio. La figura del geologo insieme agli altri tecnici ha il compito di governare gli eventi ciclici, ma deve soprattutto aiutarci a leggere i fenomeni in una veste più ampia. La natura non è killer, può essere placida e violenta, ma dobbiamo imparare a convivere con la natura, non a combatterla. L’errore più grande è quello di sentirci onnipotenti, di piegare la natura ai nostri desideri, senza considerare anche la nostra responsabilità.

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Mama Termini: costruire comunità nel deserto di Termini

Circa 140 pasti distribuiti ogni domenica sera, alle 19,30, nel piazzale antistante la stazione Termini di Roma.

Un gruppo di circa 60 volontari e volontarie a rotazione: c’è chi cucina, chi serve i pasti, chi invita artisti che possano condividere la loro musica, chi collabora con il canale online TerminiTV per realizzare prodotti artistici e culturali.

C’è Maaty che ogni domenica fa miracoli e arriva con ceste di pizza e focaccia da distribuire, rigorosamente cibo halal, o c’è Beppe che è ormai un’istituzione e tutte le domeniche vuole scattare la foto di gruppo di rito. C’è Massimiliano, che ha sempre in mente una persona precisa da aiutare con grande umanità. Ci sono Maria Grazia, Fabia e Paola, che cucinano ogni domenica chili e chili di riso e pasta.

Sono questi gli ingredienti di Mama Termini, un’organizzazione di volontariato nata nel 2020, durante il primo lockdown, quando nessuno si occupava delle persone senza fissa dimora.

Ma l’elemento più interessante di questa realtà è sicuramente la convivialità.

La domenica sera si fa amicizia, si ascoltano storie, si canta e si suona insieme, si portano vestiti se servono e si condivide quello che si ha.

Ci si riappropria di uno spazio pubblico spesso solo palcoscenico di indifferenza o degrado.

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Mille mazzi di fiori per Pietro Bartolo

Si è svolto a Rimini lo scorso 10 novembre nella Sala Sant’Agostino l’incontro “Rari nantes in gurgite vasto. Lampedusa porta d’Europa” promosso dal Centro culturale Paolo VI in collaborazione con Amici dell’Università Cattolica, coop. Diapason, Humus e con il patrocinio del Comune di Rimini e Rimini Capitale della cultura.

Ospite d’onore l’Europarlamentare Pietro Bartolo, medico di Lampedusa, introdotto dalle parole di don Marco Casadei, direttore dell’Istituto di scienze religiose “Alberto Marvelli” e moderato dal giornalista Sergio Bartolucci.

“Le nostre società che si definiscono cristiane vivono una crisi dell’accoglienza”ha spiegato don Marco Casadei nell’introdurre il tema“Eppure Matteo 25 è chiaro: proprio sulla nostra capacità di accogliere l’altro saremo giudicati. Il Messia è qualcuno che viene da lontano, ci è estraneo, è forestiero, ladro e samaritano. Gesù va oltre le nostre frontiere, rappresentazioni e confini. È l’Altro di cui abbiamo necessità. Per questo nell’altro sono sempre contenute infinite possibilità”, ha aggiunto. 

Pietro Bartolo, medico e europarlamentare, si commuove parlando della sua isola di Lampedusa: “Una tartaruga, come ha scritto Alda Merini, al cui carapace tutti si aggrappano. È la porta d’Europa, circondata da un azzurro mare blu che si è drammaticamente trasformato in un cimitero”

Bartolo in questi 28 anni sul campo ha visitato 350.000 persone, ha il triste primato del più alto numero di ispezioni cadaveriche compiute come medico. 

“Non è un atto eroico aiutare chi ha bisogno di aiuto, dice con decisione. “Ho incubi quando ripenso alle persone che non ho potuto salvare. L’immagine di un bimbo trovato cadavere mi tormenta quasi ogni notte. A volte scoppio a piangere e vorrei mollare tutto ma poi non smetto di chiedermi: davanti a tanto dolore cosa posso fare? Cosa racconterò ai miei figli e ai miei nipoti? L’unica scelta possibile è fare quello che è giusto. Dare identità e dignità anche a chi muore, a chi è ferito, a chi è solo o traumatizzato. Non sono migranti ma semplicemente persone: uomini, donne, bambini”

E come Kebrat, una giovane donna miracolosamente salvata dal medico lampedusano, vorrei anche io solo abbracciare e regalare un mazzo di fiori a quest’uomo meraviglioso, puro e coraggioso, dagli occhi profondi e buoni.

(Serata piena di emozioni, donata alla città dal Centro culturale Paolo VI di Rimini).

#Fragilità. Intervista a Antonia Chiara Scardicchio

Luca Pizzagalli, Antonia Chiara Scardicchio, Christian Magrini nel Teatro del Seminario di Rimini – Foto: Silvia Sanchini

Un gruppo nato davanti a una piadina del “Bar Ilde” con il desiderio di promuovere una proposta culturale rivolta a tutta la città. Nasce così, con semplicità ma anche tanti auspici, il gruppo “Pardēs”, formato da docenti e amici/amiche dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Marvelli”, insieme al direttore don Marco Casadei.

Un primo appuntamento promosso l’anno scorso con il filosofo Roberto Mancini, ha aperto la strada al percorso in sette tappe che l’equipe Pardēs promuove per l’anno accademico 2023-24 sotto il segno dell’essere In-dipendenti, dal titolo-cornice “Io sono l’altro”.

Sette incontri, sette tappe e sette parole: la prima è #fragilità, affidata allo sguardo della prof.ssa Antonia Chiara Scardicchio, professoressa associata di pedagogia generale e sociale all’Università degli studi di Bari.

Un incontro, lo scorso 11 ottobre, con modalità inedite che hanno intrecciato parole, immagini, scrittura e poesia.

Ha esordito così la prof.ssa Scardicchio: “Tristezza e fragilità sono spesso vissute come patologia, mentre in realtà sono proprio il segno del nostro essere viventi. Anche la morte, in quest’ottica, è vista come espressione di fragilità assoluta. È necessario risignificare queste parole, non possiamo eliminare dai nostri racconti l’oscurità ma possiamo imparare a esplorare anche la nostra ‘nube tenebrosa’, coma la chiama San Giovanni della Croce, perché Dio ci parla nella notte. La bellezza non è assenza di strappi ma saper stare nella vertigine, scendere nell’abisso. Andare in mille pezzi può essere una maledizione ma anche una benedizione”.

Un video, tratto dal film “Immaturi”, ci fa sorridere e riflettere su questo rischio di interpretare la fragilità come una malattia da guarire.

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Io Capitano: un film che ci fa stare scomodi. O almeno spero.

Qualcuno ha detto che questo è un film in ritardo di almeno 20 anni.

Io dico che proprio oggi questo film non solo è necessario, ma urgente.

Per anni queste storie le ho ascoltate, sentite sulla mia pelle, ritrovate negli incubi notturni (e a volte anche diurni) dei “miei” ragazzi, cercato di comprenderle e spesso anche di scriverle per poterle almeno in piccola parte restituire alla comunità e offrire loro la dignità che meritano.

Ma vederle prendere una forma visiva – peraltro così accurata e raffinata – sul grande schermo ha un impatto potentitissimo.

Ci ho ritrovato tutto dei racconti di questi anni: le madri, i soldi infilati nel sedere, i cadaveri nel deserto, i lager libici, le donne incinta sulle barche, le cicatrici sul volto e nell’anima che una volta arrivati in Italia è così difficile curare.

Ma anche gli spiragli di bellezza: l’umanità splendente del muratore, la purezza nello sguardo dei due protagonisti, il desiderio inarrestabile di vita e di salvezza.

C’è un’epica in queste storie – come ha detto benissimo il regista Matteo Garroneche non possiamo ignorare.

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Alluvione Emilia-Romagna: come aiutare & info utili

…”tra questa gente esiste un sentimento e se lo scopri non lo scordi più”.

Stare lontana dalla Romagna in questi giorni è uno strazio.

Grazie a chi sta aiutando in un modo che io non posso concretamente fare rimboccandosi le maniche e l’orlo dei pantaloni.
Grazie a chi sta raccontando l’inimmaginabile, come Matteo Cavezzali e altri autori e giornalisti.

Sono orgogliosa di questo popolo che non si piange addosso ma ricostruisce cantando!

Per potere essere un poco utile, anche solo a distanza, ho raccolto alcune informazioni in questo articolo e con una Newsletter straordinaria, che spero possano aiutarvi.

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BookTour #4: Dal bambino che sei stato al genitore che ora sei

Sono trascorse alcune settimane, e devo ancora mettere in ordine le emozioni.

Per la prima volta il mio piccolo libro “Riportando tutto a casa” è arrivato all’Università!

È avvenuto tutto online, ma ci siamo sentiti comunque incredibilmente vicini perchè – come ha detto molto bene Sefora Fattori: “Questo lavoro e queste storie contaminano anche la nostra vita e le nostre case, ed è bello poterle ascoltare anche in uno spazio di intimità”.

Tutto è stato merito delle prof.sse Elisa Comandini e Donatella Perroni dell’Università di Parma: deliziose e emozionate “padrone di casa”, che ci hanno dimostrato come si possa ricoprire anche un ruolo istituzionale importante con grandissimo cuore.

Elisa Comandini ci ha ricordato che “anche il dolore è un valore. È importante che un professionista dei servizi sociali usi la scrittura come via per lasciare un’impronta del proprio lavoro, esprimere uno stile e un’assunzione di responsabilità”.

Per Donatella Perroni “le tante storie disastrate che ho incontrato mi hanno insegnato come anche dalla fatica possa nascere forza e il valore di restituire l’aiuto ricevuto, ciascuno dovrebbe sentirsi sempre in grado di poter dare dignitosamente qualcosa al mondo”.

Un passo successivo lo abbiamo fatto grazie allo splendido lavoro di ricerca e studio di Diletta Mauri, ricercatrice dell’Università di Trento (cfr: https://sites.google.com/unitn.it/coping/home) e in compagnia di tanti speciali amici e amiche (come Maria, Orges, Giuseppe e Carrie).

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