Mio nonno e i suoi diari: una luce accesa nella malattia

Non sono mai stata particolarmente attaccata agli oggetti ma quando mio nonno materno ci ha lasciato, ho pensato che oltre alle foto mi sarebbe piaciuto conservare qualcosa scritto da lui. Mi hanno risposto che il nonno non amava tanto scrivere, ed è vero, anche perché aveva frequentato a malapena qualche anno di scuola elementare e in generale non era un tipo particolarmente studioso o riflessivo.

Qualche settimana fa, però, mentre alcuni parenti ripulivano l’appartamento in cui è vissuto gli ultimi 30 anni, hanno trovato tre agende fitte fitte di appunti.

Tre diari, che coincidono esattamente con i tre anni di malattia di sua moglie, mia nonna Rosetta, in cui ogni giorno – senza mai saltarne uno, fino alla morte della nonna – mio nonno scriveva. Ogni giorno si appuntava come era il tempo, i valori della pressione (sua e della nonna), i sintomi della malattia, i chili persi o a fatica riconquistati.

Raccontava delle visite ai figli o a noi nipotini. Qualche volta si appuntava qualche sogno. Sono scritti estremamente semplici ma così struggenti che per settimane ho fatto fatica a sfogliare quelle pagine senza sentire di valicare un confine che mi sembrava insormontabile e che non sapevo se fosse giusto superare.

Quei diari sono una testimonianza di amore e fedeltà. Ma non solo: sono il tentativo disperato di attaccarsi a qualcosa di certo, mentre la malattia ti sta togliendo ogni punto di riferimento. Sono una piccola luce che ogni giorno mio nonno, quasi analfabeta, si sforzava di tenere accesa.

E forse è allora anche questo il dono che il nonno con queste pagine ci ha consegnato: l’idea che in ciascuno di noi si cela un profondo e meraviglioso mistero, al quale non possiamo fare altro che accostarci con stupore.

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